Nuovo bailout per il Pakistan?
Trattative in corso per il risanamento degli squilibri del paese
Pubblicato da Alba Di Rosa. .
Cambio Asia Mercati emergenti Tassi di cambio
Accedi con il tuo account per utilizzare le funzioni stampa migliorata (pretty print) e includi articolo (embed).
Non sei ancora registrato?
registrati!
Questa settimana hanno avuto inizio i colloqui tra il Pakistan e il Fondo Monetario Internazionale per negoziare un programma di assistenza finanziaria.
L’IMF sembra infatti l’ultima spiaggia per far fronte alla critica situazione economica del paese.
La valuta può fungere da segnale per comprenderne la gravità: tra l’8 e l’11 ottobre si è verificato un nuovo crollo rispetto al dollaro, il quinto da dicembre,
come si può notare dal grafico.
Come avevamo raccontato a luglio, i maggiori problemi che
affliggono l’economia pakistana riguardano la presenza di deficit dal punto di vista della bilancia commerciale e delle finanze pubbliche, nonché
l’erosione, negli ultimi due anni, delle sue riserve di valuta estera.
Il deficit delle partite correnti è cresciuto di più del 40% nell’anno fiscale 2018 rispetto al precedente; per quanto riguarda le riserve, secondo gli ultimi dati
della State Bank of Pakistan (SBP) queste superano di poco i 14 miliardi di dollari, sufficienti a coprire circa due mesi di importazioni. Si deduce quindi quanto
sia urgente per il paese ottenere un pacchetto di aiuti.
Ulteriore fonte di preoccupazione è l’inflazione in crescita: gli ultimi dati di agosto segnalano un +5.8%, in salita rispetto a giugno e rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente che, unita ai fattori precedentemente elencati, può compromettere la sostenibilità dello sviluppo economico.
La lotta agli squilibri penalizza la crescita
Se quindi da un lato il Pakistan sta usando la svalutazione per fronteggiare la crisi della bilancia commerciale e il crollo delle riserve, dall’altro si è provveduto ad un rialzo dei tassi per tamponare la dinamica inflazionistica, portati all’8.5% dal 1° ottobre (+100 bps). Questo tentativo di correzione degli squilibri porta a perdite dal punto di vista della crescita economica: dopo una variazione del PIL vicina al 6% per l’anno 2018, per il 2019 si prevede infatti una decelerazione.
Il grafico a barre mostra il tasso di crescita del PIL pakistano nel 2019, così come previsto dalle varie edizioni del World Economic Outlook: dall’edizione di ottobre 2017 a quella di ottobre 2018 la crescita del paese è stata rivista al ribasso, incorporando gli effetti della crisi in corso.
Previsioni di crescita del PIL pakistano per il 2019
Fonte: Elaborazioni Exportplanning su dati FMI (Word Economic Outlook).
Qualora un accordo con l’IMF venisse raggiunto, si tratterebbe del tredicesimo dagli anni ‘80, segnalando la debolezza strutturale dell’economia pakistana
e la dipendenza dagli aiuti esteri.
La volontà del neo primo ministro Khan era quella di evitare il ricorso al prestatore di ultima istanza, anche a causa delle dure condizioni di riforma
economica che inevitabilmente giungono insieme al pacchetto di aiuti. Khan ha quindi cercato negli ultimi mesi di ottenere prestiti da “paesi amici”,
quali Cina e Arabia Saudita. Ancora nulla di certo sul fronte cinese, partner strategico per il Pakistan nel quadro del China-Pakistan Economic Corridor; è stato
invece negoziato un prestito per 6 miliardi di dollari con la controparte saudita.
Aiuti esterni: opportunità e limiti
Dopo il caso dell’Argentina, anche quello del Pakistan
ci spinge a riflettere sulla delicatezza degli interventi del Fondo Monetario Internazionale. Se certamente vengono in soccorso al paese in difficoltà e ne evitano
il collasso, in alcuni casi riuscendo effettivamente a promuovere la crescita economica nel medio-lungo periodo (vedi il caso dell’Egitto),
al tempo stesso rischiano di creare dipendenza all’economia, come nel caso del Pakistan che ha ricevuto l’ultimo bailout nel 2013.
Se anche in questo caso un accordo verrà raggiunto, questo costituirà un aiuto nel breve periodo, ma nel medio-lungo termine potrebbe rischiare di ingabbiare ancor
più il paese nella spirale del debito e della non-autosufficienza finanziaria.