Al via la guerra commerciale: quali effetti sulle valute?

I dazi USA sulla Cina penalizzano lo Yuan. Ma l’economia cinese resta solida.

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Alla mezzanotte di oggi sono entrati in vigore i nuovi dazi targati USA, dando ufficiale inizio ad una guerra commerciale con la Cina: si tratta di tariffe del 25% che colpiranno 818 prodotti di importazione cinese, per un valore totale di 34 miliardi di dollari.
Quali effetti si sono già prodotti per le valute dei paesi coinvolti, e quali si prefigurano per il prossimo futuro?

  • Dollaro USA

La lunga fase di apprezzamento cominciata a metà aprile e proseguita per due mesi ha lasciato il posto, nella seconda metà di giugno, ad una relativa stabilità. Le tensioni in atto sembrano aver portato ad un’inversione di tendenza per il dollaro nell’ultima settimana, nel corso della quale la valuta ha registrato una riduzione di oltre l’1% del suo valore effettivo.

  • Peso messicano

Pur non essendo coinvolto nella disputa con la Cina, anche il Messico si colloca in prima linea nella guerra commerciale con gli USA: a inizio giugno il paese dell’America centrale ha subito l’imposizione di dazi su acciaio e alluminio, e pochi giorni dopo ha risposto prendendo di mira tipici prodotti made in USA.
Sulla scia di questo conflitto, il Peso si è indebolito fino a metà giugno, per poi recuperare quasi l’8% del suo valore rispetto al dollaro dal 15 giugno ad oggi. Tale data corrisponde all’annuncio da parte del presidente americano dell’imminente imposizione di un ingente ammontare di dazi su prodotti cinesi che contengono “industrially significant technologies”: è quindi possibile che i mercati abbiano valutato come segnale positivo per il Messico lo spostamento – almeno momentaneo – delle tensioni commerciali dall’altro lato dell’oceano.

  • Yen giapponese

Anche in questo caso non si tratta di una valuta direttamente coinvolta nella disputa USA-Cina, ma secondo gli osservatori internazionali il Giappone potrebbe beneficiare delle tensioni commerciali in atto tra i due paesi in termini di competitività: infatti, mentre gli USA dovranno pagare prezzi maggiori per approvvigionarsi in Cina in seguito alle misure tariffarie scattate oggi, per il Giappone i costi rimarranno invariati. Nei settori in cui Giappone e USA competono, il primo potrebbe quindi godere, nei prossimi mesi, di un vantaggio sull’altro.
La valuta giapponese potrebbe aver assorbito tali aspettative, incorporandole in un lieve recupero del suo valore effettivo (+1.2%) in atto da metà giugno.

  • Yuan cinese

Il diretto interessato in questo conflitto commerciale è però lo Yuan. La fase di rafforzamento cominciata a metà dello scorso anno ha subito una brusca battuta d’arresto dal 15 giugno, giorno in cui i dazi scattati oggi sono stati ufficialmente annunciati. Da allora lo Yuan ha perso più del 3.3% del suo valore effettivo (3.6% rispetto al dollaro).

Tasso di cambio effettivo Yuan cinese

Indebolimento dello Yuan: azione dei mercati o strategia della banca centrale?

Sorge spontaneo chiedersi se lo Yuan si sia indebolito sulla scia delle tensioni internazionali, oppure se si tratti di un’azione deliberata della banca centrale per controbilanciare l’effetto delle tariffe e riguadagnare quindi la competitività persa.
La maggior parte degli analisti non condivide la seconda visione, per due essenziali motivi. In primo luogo, ad oggi il commercio internazionale cinese è cambiato, e non compete più soltanto sul prezzo ma anche sulla qualità (vedi settori come l’high-tech): in questo contesto, la svalutazione non costituisce un elemento di supporto. Inoltre, se davvero emergesse una manipolazione deliberata del tasso di cambio da parte della People’s Bank of China (PBC), la Cina distruggerebbe il ruolo che sta cercando di costruirsi di campione delle regole del WTO, in contrasto con la volontà americana di operare al di fuori di esse.
La versione delle autorità attribuisce l’indebolimento dello Yuan all’azione dei mercati, che tengono conto della forza del dollaro e dell’elevato grado di incertezza che caratterizza la questione USA-Cina.

La Cina dispone degli strumenti per combattere il deprezzamento valutario.

Gli analisti sono comunque concordi nel ritenere questa fase di deprezzamento un trend di breve periodo, che non potrà portare ad un indebolimento sostenuto e prolungato, dati i solidi fondamentali dell’economia cinese.
I dati del primo trimestre 2018 hanno confermato una crescita costante per il paese asiatico (+6.8% su base annua secondo la PBC) ed un’inflazione modello (+2.1%). Ad un rapporto deficit-PIL negativo (-3% nel 2017) fa eco un saldo partite correnti positivo (+1.7% del PIL nello stesso anno). Ma, soprattutto, la People’s Bank of China detiene più di 3000 miliardi di dollari di riserve internazionali, che potranno egregiamente difendere la valuta da eventuali crolli.