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Recessione, anche nel 2012. Questo è l’aspetto più evidente dell’andamento dell’economia ungherese, dopo due anni (2010 e 2011) di crescita modesta e dopo il tonfo (-6.8% del PIL) del 2009. E crollo degli investimenti provenienti dall’estero.
Il Pil ungherese è sceso, nella media dei quattro trimestri dello scorso anno, dell’1.7%.
Nel periodo post-Leheman le cose non sono andate per il verso giusto, non v’è dubbio. I consumi sono attualmente più bassi del 10% rispetto al 2008 (mentre Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia hanno già recuperato o superato i livelli di consumo di cinque anni fa), gli investimenti sono calati del 27%.
L’Ungheria è il paese dell’Est Europeo più esposto alle intemperie dell’economia internazionale. Il motivo principale, ma non l’unico, è il fardello del debito pubblico, che veleggia intorno all’80% del Pil (il valore più elevato tra i paesi dell’Est Europeo). L’
export
ha rappresentato negli ultimi anni la nota positiva per l’economia ungherese, ma il 2012 non è stato un anno facile neppure su questo fronte.
Nel frattempo gli investimenti esteri sono calati del 5.2% nel corso del 2012, e tale tendenza è anche peggiorata nel corso dell’ultima parte dell’anno (-7.9% nell’ultimo trimestre).
Il 2013 potrebbe essere un anno migliore del precedente, mentre le elezioni del 2014 sono alle porte (probabilmente i conservatori di Orban manterranno la larga maggioranza detenuta attualmente). La Orbanomics in versione pre-elettorale è un misto di spesa pubblica, supporto ai consumi (calo delle tariffe di alcune
utilities
e aumenti per i pensionati), qualche progetto infrastrutturale, maggiore controllo della banca centrale (il ministro delle Finanze Gyorgy Matolcsy è stato nominato governatore della Banca Centrale) ma anche realismo.
Infatti non è più il tempo di spesa pubblica fuori controllo. Tutt’altro. Il deficit fiscale deve essere portato – in maniera stabile e strutturale (cioè senza le manovre
una tantum
che hanno caratterizzato il recente passato) - sotto al 3 per cento, per poter far sì che la Commissione Europea cancelli la procedura di infrazione aperta nel lontano 2004. In caso contrario - la decisione è attesa a giugno di quest’anno – verrebbero bloccati i Fondi Strutturali erogati dall’UE destinati al paese. E sarebbe ancora peggio.
La debolezza dell’economia magiara ha delle implicazioni evidenti per le imprese italiane. La banca dati Ulisse ci consente di quantificare la rilevanza del mercato locale per le imprese italiane.
L’Italia è uno dei principali partner commerciali dell’Ungheria. Le imprese italiane detengono una quota di poco superiore al 5% sul totale importato dall’Ungheria. Tale quota è in decisa e costante flessione: era di oltre tre punti superiore un decennio addietro. Gli esportatori italiani hanno una posizione di eccellenza sui mercati dell’Est Europeo (un terzo di tutte le importazioni albanesi, ad esempio, proviene dall’Italia; più del 10% di quelle croate, slovene o rumene; e così via) ma la perdita di quote di
export
dell’Italia non ha risparmiato neppure questa macro-regione.
Nonostante l’erosione del ruolo delle imprese italiane in Ungheria, il mercato locale ha dato comunque soddisfazioni alle nostre aziende esportatrici. I livelli di
export
delle imprese italiane verso l’Ungheria sono tornati ai livelli pre-crisi già da due anni, nonostante i morsi della recessione; e sono attualmente del 25% più elevati che un decennio addietro. Dal punto di vista settoriale prevale l’export italiano di materie prime industriali, metalli, intermedi chimici, mezzi di trasporto, e meccanica: questi comparti rappresentano la metà delle esportazioni italiane in Ungheria (è evidente l’influenza del settore
automotive
, uno dei comparti di punta dell’industria ungherese, dove hanno fabbriche marchi quali l’Audi e la Mercedes).
In sintesi, l’Ungheria è un mercato in forte recessione; è forse finita, almeno per un po’, l’età dell’oro del decennio 1998-2008, ma l’economia ungherese non è priva di opportunità per le nostre imprese esportatrici.
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