Argentina nella morsa della crisi, segnali di miglioramento dalla Turchia
Pubblicato da Alba Di Rosa. .
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Osservate speciali questa settimana sono le valute di Argentina e Turchia, protagoniste di drammatiche crisi nel corso del 2018, e recentemente tornate al centro dell’attenzione mediatica per ragioni differenti.
Argentina verso le urne: lo spettro del Peronismo
Questa domenica, 27 ottobre, l’Argentina si recherà alle urne per le elezioni presidenziali. L’esito sembra già scritto, sulla base di quanto emerso nelle primarie di agosto che, secondo il sistema elettorale argentino, precedono le elezioni presidenziali, effettuando una scrematura dei partiti più piccoli e delineando una chiara mappa delle intenzioni di voto: stando ai risultati emersi ad agosto, la maggior parte degli osservatori giudica improbabile che il presidente in carica Macri (centro-destra, approccio business-friendly e apprezzato dai mercati) venga riconfermato. Viene data quasi per certa, invece, la vittoria del peronista Alberto Fernández.
Sulla base di questo scenario, gli investitori e i creditori dell’Argentina prevedono un’accresciuta volatilità sui mercati e una probabile prosecuzione del trend di debolezza per la valuta, dato che le proposte di policy di Fernández sembrano molto meno orientate al rigore di quelle di Macri, e molto più votate alla spesa, in un contesto di già profonda crisi economica ed indebitamento.
Mauricio Macri è al potere dal 2015, dopo 8 anni di governo peronista guidato da Cristina Fernández de Kirchner. L’attuale presidente, che con le sue politiche avrebbe dovuto risanare l’economia, non è evidentemente riuscito a tenere fede alle sue promesse, in un contesto di inflazione galoppante e deprezzamento record, tanto nel 2018 che nel 2019. Dall’inizio del 2018 ad oggi, la valuta argentina si è deprezzata di più del 200%; l’inflazione mensile, calcolata su base annua, viaggia ormai su quota 50% da un anno.
La forte crisi che sta vivendo l’economia argentina è fedelmente registrata dagli indicatori macroeconomici: nel 2018 il PIL a prezzi costanti ha registrato una contrazione del 2.5%, mentre le previsioni del Fondo Monetario Internazionale per il 2019 segnalano un’ulteriore caduta del 3.1%.
Turchia: giù inflazione e tassi d’interesse
Per quanto riguarda la Turchia, ha suscitato la sorpresa degli analisti la recente decisione di politica monetaria della Central Bank of the Republic of Turkey che, nella giornata di ieri, ha tagliato il tasso d’interesse di riferimento (1-week repo rate) oltre le attese (-250 punti base), portandolo al 14%.
Le ragioni alla base di questa scelta sono molteplici:
- Prosecuzione della moderata ripresa nell’attività economica.
- Miglioramento nell’inflazione, in particolar modo a settembre
(+9.26% su base annua, risultato notevole considerando che il 2019 si era aperto con un’inflazione al 20%).
La revisione delle ultime previsioni suggerisce inoltre che, per la fine dell’anno, l’inflazione potrebbe essere notevolmente inferiore di quanto stimato a luglio. - Tasso di cambio della lira abbastanza stabile nell’ultimo periodo.
Secondo gli osservatori, hanno inoltre contribuito alla decisione anche elementi di contesto, legati all’allentamento delle tensioni geopolitiche. Nella seconda settimana di ottobre, la Turchia ha invaso la Siria; hanno fatto seguito la condanna internazionale e la minaccia di sanzioni da parte del presidente americano Trump, minaccia poi ritirata in seguito al raggiungimento di un accordo di cessate il fuoco. È probabile che l’allentamento delle tensioni abbia portato la banca centrale a valutare come incrementato il proprio spazio di manovra, contribuendo quindi alla decisione di un rilevante taglio nei tassi.