La resilienza del dollaro, tra recessione e effetto petrolio

Anche a fronte di un deterioramento della situazione economica interna, il dollaro si conferma valuta controciclica per eccellenza.

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Anche questa settimana uno dei principali temi nel dibattito economico-finanziario continua ad essere quello della forza del dollaro. Dopo la parentesi di indebolimento della scorsa settimana, il biglietto verde ha infatti mostrato un parziale recupero, come si può notare dal grafico che segue.

Tasso di cambio effettivo dollaro

Secondo gli analisti questa ripresa è attribuibile a due principali fattori:

  • il clima di imminente recessione che aleggia, e continua a sostenere il dollaro in quanto valuta controciclica;
  • il recente recupero del prezzo del petrolio, dopo i livelli di minimo storico toccati all’inizio della settimana.

La minaccia della recessione

Dopo “pandemia”, è ormai “recessione” la parola che suscita più timore in questi giorni. Diversi istituti hanno cominciato a rilasciare previsioni di significativa e diffusa contrazione del PIL: Fitch, ad esempio, prevede un declino dell’attività economica prossimo al 2% a livello mondiale. Si prevede un crollo superiore al 3% per gli USA, superiore al 4% per l’Eurozona. In tempo di crisi, sono tradizionalmente le valute controcicliche a performare bene, quindi in primo luogo il dollaro, ma anche l’euro, il franco svizzero e lo yen, che infatti si mantengono su livelli di massimo degli ultimi anni.

Nello specifico caso del dollaro, notiamo come il biglietto verde si mantenga forte anche a fronte di uno scenario economico nazionale che, come prevedibile, comincia a dare segnali di difficoltà. In particolare non giungono notizie positive sul fronte dell’occupazione: nella seconda metà di marzo, circa 10 milioni di lavoratori americani hanno richiesto il beneficio di disoccupazione, di cui più di 6.6 milioni solo nell’ultima settimana del mese. Si tratta di livelli di massimo storico, secondo lo US Department of Labor.

Per il prossimo futuro, gli analisti prevedono una possibile ritirata del dollaro a fronte di due possibili scenari:

  • un peggioramento dell’epidemia di Coronavirus negli USA, che ora costituiscono il nuovo epicentro;
  • un miglioramento della situazione Covid a livello globale, che potrebbe portare ad un ribilanciamento sui mercati finanziari, normalizzando l’attuale situazione di emergenza che ha portato dollaro e valute emergenti agli estremi.

Il fattore petrolio

Come anticipato, anche la recente dinamica del prezzo del petrolio può aver contribuito a risollevare il dollaro, dato che gli Stati Uniti ne costituiscono uno dei maggiori esportatori a livello globale.
La tendenza al ribasso del prezzo del petrolio registrata dalla fine di febbraio è riconducibile da un lato alle preoccupazioni per la caduta della domanda causata dall'epidemia e, dall’altro, alla guerra al ribasso sul prezzo tra Russia e Arabia Saudita. L’effetto congiunto di questi fattori ha spinto il prezzo del petrolio su livelli mai raggiunti neanche durante la crisi finanziaria del 2008 (fonte: PricePedia). Il 30 marzo il WTI ha toccato i 20.09$ al barile, mentre il Brent il giorno successivo ha toccato il punto di minimo dei 24.74$. In entrambi i casi si è verificata, nei giorni a seguire, una ripresa, attorno all’ordine di grandezza del 30%.
La ripresa osservata nei primi giorni di aprile è attribuibile a segnali distensivi lanciati dal presidente americano Trump, secondo il quale Russia e Arabia Saudita sarebbero prossimi ad un accordo per porre fine alla guerra sui prezzi. La notizia è bastata per risollevare il prezzo del petrolio e per sostenere un lieve rimbalzo non solo del dollaro, ma anche di valute di altri paesi esportatori, come il dollaro canadese e la corona norvegese.

Tasso di cambio effettivo corona norvegese

In particolare la corona norvegese ha recuperato il 3% del suo valore in termini di tasso di cambio effettivo, ma non si tratterebbe solo di un effetto petrolio. Sicuramente anche le diverse misure di politica monetaria espansiva adottate a fine marzo dalla banca centrale, la Norges Bank, e di politica fiscale adottate dal governo, hanno contribuito al rebound.