Incertezza sull’euro-dollaro, stabilizzazione per gli emergenti

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Anche questa settimana il dollaro non segnala fluttuazioni di rilievo, in equilibrio tra spinte opposte: il suo safe-haven appeal e il deterioramento della situazione economica interna.
Dagli States giungono negli ultimi giorni nuove notizie economiche negative: i dati di marzo per le vendite al dettaglio segnalano un crollo dell’8.7% rispetto al mese precedente, così come quelli per la produzione manifatturiera (-6.3%) e industriale (-5.4%). Considerando che negli Stati Uniti il lockdown è cominciato attorno alla metà del mese, si tratta di cifre abbastanza drammatiche.
Non giungono buone nuove neanche sul fronte dell’occupazione: la scorsa settimana si sono registrati ulteriori 5.2 milioni di initial jobless claims, portando il numero totale da metà marzo a circa 20 milioni di posti di lavoro.

L’euro, a sua volta, chiude la settimana all’insegna di una relativa stabilità. Il fattore principale che preme sulla moneta unica nel breve termine è l’incertezza politica relativa alla gestione degli aiuti per l’emergenza sanitaria a livello europeo.
Il 23 aprile si terrà una nuova riunione del Consiglio Europeo, deadline chiave per la prosecuzione del dibattito su questi temi. Nell’attesa di ciò, rischiano di penalizzare l’euro le divisioni tra il nord e il sud dell’Europa sul tema del finanziamento degli aiuti. Ieri il Parlamento europeo ha praticamente affossato i Coronabond, ma ha, viceversa, approvato i Recovery bond. Le decisioni del Parlamento non sono però vincolanti per il Consiglio. In ultima istanza, la paura dei mercati è la tenuta dello stesso progetto europeo.

Dati i numerosi fattori in gioco, il cambio euro-dollaro rimane quindi caratterizzato da una forte incertezza.

Uno sguardo agli emergenti

In questo contesto di relativa stabilizzazione, anche le valute dei paesi emergenti sembrano essersi lasciate alle spalle la fase più drammatica della crisi valutaria, segnata da significativi indebolimenti, lasciando il passo ad una fase di maggiore stabilità dalla seconda metà di marzo.

Focalizzandoci sulle valute che adottano un regime di cambio fluttuante, in seguito alla diffusione della pandemia tra le asiatiche si nota il maggiore crollo per il baht thailandese; di entità minore gli indebolimenti di ringgit malese e rupia indiana. In tutti e tre i casi, dalla seconda metà di marzo si osserva una relativa stabilizzazione.

Tasso di cambio effettivo valute asiatiche
(2/01/2020 = 100)

Tasso di cambio effettivo valute asiatiche

Il baht thailandese ha seguito un lungo trend di apprezzamento tra il 2016 e il 2019, sostenuto dalla presenza di un saldo delle partite correnti positivo, in particolare grazie all’industria del turismo. L’indebolimento del baht dall’inizio del 2020 non è però riconducibile soltanto all’effetto Covid, ma in un primo momento anche ad un’azione mirata dei policy-makers nazionali, volta a contrastare un apprezzamento eccessivo, dannoso in termini di competitività.

Per quanto riguarda la situazione delle valute dell’America latina, notiamo come la dinamica di fondo sia simile a quella descritta per le valute asiatiche. Si evidenzia la caduta più accentuata per il peso messicano, seguito da real brasiliano e peso colombiano. Anche in questo caso, tutte le valute considerate hanno imboccato un cammino di stabilizzazione dalla seconda metà di marzo.

Tasso di cambio effettivo valute America latina
(2/01/2020 = 100)

Tasso di cambio effettivo valute America latina

Infine, tra le valute emergenti dell’area "europea" in senso lato, è di gran lunga il rublo russo ad aver registrato il maggiore crollo, complici anche le tensioni registrate sul mercato del petrolio. Da metà marzo si evidenzia però un chiaro recupero, anche grazie al sostegno della Central Bank of the Russian Federation. Si nota inoltre una stabilizzazione per lo zloty polacco ed una parziale ripresa per la corona ceca e il fiorino ungherese. Continua invece tuttora la fase di indebolimento della la lira turca, caso in cui all’effetto Covid si sommano problemi macroeconomici strutturali.

La stabilizzazione delle valute dei paesi emergenti è sicuramente riconducibile, in buona parte, al dollaro che ha frenato la sua corsa, dopo una fase di significativo apprezzamento nelle prime settimane di pandemia. Contributo significativo è però giunto anche dalle banche centrali dei paesi coinvolti, che in molti casi hanno fatto ricorso a massicce vendite di riserve di valuta estera per controbilanciare la caduta delle valute.
Nel mese di marzo le riserve di valuta estera russe hanno visto una riduzione di 7 miliardi di dollari; nello stesso mese il Banco Central do Brasil è intervenuto per un ammontare di circa 20 miliardi di dollari, così come il Messico, il Perù e la Colombia, con interventi attorno all’ordine di grandezza dei 2 miliardi di dollari (fonte: Financial Times).