Sfide e cambiamenti del commercio mondiale

Frammentazione degli scambi, tariffe ed implicazioni

.

Analisi Macro Importexport Domanda mondiale Politica economica Congiuntura Internazionale

Accedi con il tuo account per utilizzare le funzioni stampa migliorata (pretty print) e includi articolo (embed).
Non sei ancora registrato? registrati!

Nel corso degli ultimi anni il commercio mondiale di beni è stato oggetto di profondi cambiamenti. Uno dei temi di maggiore rilevanza, oggi, per leggere, delineare e anticipare le future traiettorie del commercio mondiale attiene indubbiamente al dibattito sul futuro della globalizzazione.
Anche a fronte delle promesse della campagna elettorale americana, in primis sul fronte repubblicano, si fa sempre più solida l’ipotesi di un futuro caratterizzato da una crescente frammentazione degli scambi, dettata da motivazioni geopolitiche e strategiche che di mera convenienza economica e produttiva.
Dopo anni di shock, tra pandemia COVID-19, l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia e lo scoppio dei conflitti, le maggiori economie mondiali hanno iniziato a valutare i partner commerciali in base ad implicazioni geopolitiche e di sicurezza nazionale. Questo aspetto non interessa solo i flussi commerciali di beni, ma anche quelli di investimenti diretti esteri e, di conseguenza, le scelte in materia di localizzazione produttiva nel mondo. La riorganizzazione del commercio internazionale lungo assi geopolitici, con una sempre più netta distinzione tra il West and the Rest, restituisce la prospettiva di un mondo sempre più frammentato sul fronte economico e politico.

Commercio mondiale e slowbalisation

Se inquadriamo tale dinamiche in un’ottica storica di lungo periodo appare evidente come il cambio di passo dell’avanzare della globalizzazione sulla scena mondiale sia già evidente da diversi anni. L’età della globalizzazione ha infatti lasciato spazio a quella che è stata ribattezzata dal Fondo Monetario Internazionale come slowbalisation, cioè un suo rallentamento dovuto alla crescita delle misure protezionistiche, della guerra commerciale e tecnologica Cina-Stati Uniti e, più in generale, al deterioramento delle relazioni geopolitiche.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, come riprodotto dal grafico proposto, la storia della globalizzazione è stata caratterizzata da cinque periodi principali, caratterizzati per differenti configurazioni economico-finanziarie che regolavano gli scambi tra Paesi.



Dal 1870 al 1914, l'era dell'industrializzazione vede un'espansione del commercio globale, dominato da potenze come Stati Uniti, Europa, Argentina, Australia e Canada. Questo periodo è caratterizzato dal sistema del “gold standard”, che facilita gli scambi tra paesi, e dai progressi tecnologici nei trasporti, che riducono i costi di commercio e aumentano il volume dei flussi. Tra il 1914 e il 1945, a causa delle due grandi guerre mondiali e dell'ascesa del protezionismo, si assiste a un'inversione di tendenza. I conflitti e la frammentazione del commercio portano a una sempre maggiore regionalizzazione degli scambi. Nonostante gli sforzi della Società delle Nazioni per promuovere iniziative di multilateralismo, il commercio è gravemente ostacolato dalle barriere protezionistiche in essere. Dal secondo dopoguerra al 1980, l'economia mondiale viene plasmata dal sistema di Bretton Woods. Gli Stati Uniti emergono come potenza economica dominante, e la ripresa post-bellica in Europa e Giappone, insieme alla liberalizzazione del commercio, favorisce la ripresa di un'espansione economica globale. È tuttavia il periodo 1980-2008 a segnare la fase di liberalizzazione più significativa (definita anche come “iper-globalizzazione”).
Inoltre, le economie emergenti, come la Cina, iniziano a rimuovere gradualmente le barriere commerciali, favorendo una crescente cooperazione economica internazionale. La fondazione dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) nel 1995 contribuisce a gestire accordi commerciali e risolvere controversie, mentre i flussi di capitale transfrontalieri aumentano, con un’integrazione del sistema finanziario globale. La rimozione delle restrizioni commerciali e la globalizzazione della produzione favoriscono l'espansione dei flussi di beni e capitali su scala mondiale.
La crisi finanziaria del 2008-2009 segna però l'inizio della cosiddetta slowbalization, una fase di rallentamento della globalizzazione: emergono sempre più vincoli al progresso di riforma e liberalizzazione ulteriore del commercio, si indebolisce il sostegno politico al libero scambio e si registra un aumento delle tensioni geopolitiche.

Focalizzandoci, in particolare, sulle dinamiche dell’ultimo secolo, è possibile documentare la progressiva riduzione dell’elasticità del commercio mondiale al PIL a partire dal 2010: in particolare, essa si è mantenuta largamente maggiore di 1 fino alla Grande Recessione, per poi successivamente appiattirsi intorno alla zero, chiudendo anzi gli ultimi due anni in territorio negativo.

Elasticità del commercio mondiale di beni al PIL

Fonte: ExportPlanning

Le sfide attuali e la crisi del multilateralismo

In questo scenario, più che di de-globalizzazione sarebbe quindi più opportuno parlare di slowbalisation, che incorporerà sempre più, nei prossimi anni, gli effetti di una ricomposizione degli scambi tra aree geo-politicamente affini e una nuova configurazione internazionale (si pensi, ad esempio, al disaccoppiamento tra Stati Uniti e Cina). Tuttavia, una faccia ulteriore della crescente frammentazione è la crescita dell’attenzione politica verso interventi di carattere protezionistico.

Di recente il fenomeno del protezionismo su scala mondiale è infatti tornato a far parlare molto di sé, soprattutto a fronte del maxi piano tariffario annunciato dal candidato alla Casa Bianca Donald Trump. Esso prevedrebbe l'imposizione di un dazio del 10%, fino al un massimo del 20%, sul totale delle importazioni americane dall’estero, che si unisce a tariffe del 60% sulle importazioni statunitensi dalla Cina, arrivando a ipotizzare di sostituire l'imposta federale sul reddito con il gettito delle tariffe. Si tratta di una misura che fa quasi “riecheggiare” quanto sperimentato nei primi anni del 1900, come sintetizzato in precedenza.

Le implicazioni economiche dell’attuazione di un piano di questa portata sarebbero enormi.
Diversi economisti hanno stimato i costi di una simile manovra sull’economia americana (si veda ad esempio Trump's bigger tariff proposals would cost the typical American household over $2,600 a year, Can Trump replace income taxes with tariffs?), tuttavia un aspetto altrettanto rilevante di questo scenario attiene alla possibile configurazione internazionale che ne deriva, date le possibili contromisure tariffarie degli altri paesi del mondo.
Come infatti insegna il caso dell’acciaio, e in particolare dei coils laminati a caldo, i dazi protezionistici introdotti da Trump hanno portato - prima – all’adozione di misure di salvaguardia da parte dell'UE e, più recentemente, a fronte dell’eccesso di offerta globale, ad azioni protezionistiche anche da parte di altri paesi produttori mondiali.
L'effetto complessivo, a seguito di quello che è stato un c.d. “effetto domino” a livello globale, è stata la perdita di efficienza nella produzione mondiale di acciaio, con conseguenti costi maggiori per le imprese utilizzatrici.

Come raccontanto nell’articolo Vantaggi e svantaggi della liberalizzazione commerciale internazionale, secondo la teoria economica un sistema maggiormente frammentato implica infatti:

  • la riduzione dell'efficienza produttiva legata alla specializzazione
  • la riduzione delle economie di scala
  • la riduzione del grado di concorrenza e di diffusione del know-how

Questo si traduce in un sistema competitivo meno efficiente, con un costo sui consumatori sui quali graverebbero prezzi più elevati – conseguenza del sistema produttivo meno efficiente - e una minore disponibilità di beni.

Naturalmente, lo scenario di un “ritorno totale al protezionismo” appare quello dalle conseguenze maggiormente negative per l’economia mondiale, ma appare ormai consolidato il fatto che il commercio mondiale si stia evolvendo verso una nuova configurazione. In altre parole, il futuro sarà quello del “de-risking”, strategia fortemente sostenuta dall’UE, se non del “decoupling”, strategia maggiormente accreditata sul fronte americano.