La Sfida dell’Indipendenza Energetica

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L’indipendenza energetica non è solo una questione economica: è una leva geopolitica che ha determinato guerre, crisi e alleanze per oltre un secolo. La mancanza di indipendenza energetica rappresenta un fattore di rischio significativo per un paese. Senza una solida autosufficienza energetica, un paese si espone a vulnerabilità economiche e geopolitiche. Le tensioni internazionali, le crisi globali e la dipendenza da fornitori esterni possono infatti destabilizzare il sistema produttivo, con impatti diretti sulla crescita e sulla sicurezza economica del paese.

Per le aziende, valutare il grado di indipendenza energetica di un paese diventa quindi un modo di misurare l'esposizione dell'industria locale a possibili shock di fornitura, e rappresenta uno dei diversi pilastri che compongono il grado di rischio di un possibile mercato target. Pertanto, in un mondo che cambia, la sicurezza energetica può diventare un tema di particolare interesse nella fase di Analisi Paese e Valutazione rischi.

USA, UE e Cina: Modelli a confronto

Oggi, il panorama energetico globale appare in piena trasformazione. Mentre gli Stati Uniti consolidano la loro autosufficienza energetica, l'Europa, impegnata nella decarbonizzazione, cerca di ridurre la storica dipendenza dalle importazioni, affrontando la sfida di costruire un sistema energetico più resiliente e sostenibile, mentre la Cina si trova in un delicato equilibrio.

Ma cosa significa realmente parlare di energia? Il concetto chiave è l’energy mix, ovvero la composizione delle fonti energetiche di un paese. Petrolio, gas, carbone, nucleare e rinnovabili si combinano in proporzioni diverse, determinando il livello di indipendenza o vulnerabilità di una nazione. Il grafico seguente mostra chiaramente le differenze nel mix energetico tra USA, Cina ed Europa, evidenziando quanto i combustibili fossili siano ancora dominanti in alcune aree, mentre le rinnovabili e il nucleare assumono un peso maggiore in altre.

Fig.1 - Composizione Energy-Mix

Fonte: Elaborazioni ExportPlanning su dati IEA

Stati Uniti: La Rivoluzione dello Shale Oil

Per gran parte del XX secolo, gli Stati Uniti hanno fatto affidamento sulle importazioni di petrolio da Arabia Saudita, Venezuela e Iraq. Ma la rivoluzione dello shale oil ha riscritto le regole del gioco. Grazie al fracking, una tecnologia che utilizza acqua ad alta pressione e sabbia per fratturare la roccia e liberare idrocarburi, gli Stati Uniti sono diventati il principale produttore mondiale di petrolio e gas.

Sotto l’amministrazione Trump, l’indipendenza energetica è stata una priorità strategica. Washington ha drasticamente ridotto le importazioni, iniziando a esportare energia e acquisendo maggiore influenza sui mercati globali. Il grafico seguente mostra il cambiamento radicale del saldo energetico americano: dalle profonde dipendenze dei primi anni 2000 alla quasi totale autosufficienza odierna.

Fig.2 - Import-Export Energy-Mix statunitense

Fonte: Elaborazioni ExportPlanning su dati IEA

Questo cambiamento ha avuto ripercussioni significative: l’aumento dell’offerta ha abbassato i costi energetici, tuttavia il dominio dei combustibili fossili potrebbe non durare a lungo.
Gli Stati Uniti, pur avendo infatti raggiunto una quasi autosufficienza energetica, devono ora affrontare le sfide della transizione ecologica e delle pressioni politiche interne per ridurre l’impatto ambientale del fracking e delle emissioni di carbonio.


Cina: Il Paradosso delle Energie Pulite

Una posizione nettamente diversa, invece, occupa la Cina. Essa è il maggiore consumatore di carbone e il secondo di petrolio al mondo. La sua crescita economica ha alimentato una domanda insaziabile di energia, aumentando la dipendenza dalle importazioni e aggravando i problemi ambientali.

Fig.3 - Import-Export Energy-Mix cinese

Fonte: Elaborazioni ExportPlanning su dati IEA

Pechino ha però adottato una strategia duplice: mentre, attraverso accordi con altri paesi, continua a importare combustibili fossili per sostenere il proprio fabbisogno interno, è diventata leader mondiale nella produzione di tecnologie per le energie rinnovabili. Ad esempio, in Cina è installato un terzo della nuova capacità globale di eolico e solare. Tuttavia, osservando il suo energy mix, il predominio del carbone e dei combustibili fossili rende ancora prematuro considerarla una nazione realmente sostenibile.

La strategia cinese sembra quindi mirata più alla sicurezza energetica che alla decarbonizzazione: Pechino sfrutta la produzione di beni alimentati da energia pulita per il mercato mondiale, pur non beneficiandone appieno a livello interno. Inoltre, accordi commerciali con paesi in via di sviluppo garantiscono al Paese un accesso stabile alle risorse necessarie.

Europa: Tra Sostenibilità e Dipendenza

L’Europa è storicamente dipendente dalle importazioni di energia, in particolare di gas e petrolio. Nonostante ingenti investimenti nelle rinnovabili e nel nucleare, il saldo energetico del continente rimane in negativo. La crisi tra Russia e Ucraina ha proprio messo in evidenza tale fragilità, accelerando la ricerca di alternative.

Il grafico riportato mostra solo fievolissime fluttuazioni nel tempo, non sufficienti a convertire il saldo energetico europeo da negativo a positivo.

Fig.4 - Import-Export Energy-Mix europeo

Fonte: Elaborazioni ExportPlanning su dati IEA

A differenza di Cina e Stati Uniti, l’Europa sta però compiendo passi concreti verso la transizione energetica. Attualmente, quasi il 19% del mix energetico europeo è composto da fonti rinnovabili (biocombustibili, geotermico, solare, eolico, idroelettrico), contro il 10% della Cina e l’8.5% degli Stati Uniti.

La decarbonizzazione rappresenta un'opportunità per l’Europa non solo per rafforzare la propria sicurezza energetica, ma anche per abbassare i costi dell’energia e assumere un ruolo guida nelle tecnologie pulite (clean tech). Il processo di decarbonizzazione implica però l’adozione su larga scala di fonti energetiche a basso costo marginale di produzione, come le rinnovabili e il nucleare, permettendo così di rendere il sistema energetico europeo più efficiente e competitivo a livello globale.

Un tassello fondamentale di questa strategia è il Clean Industrial Deal, lanciato dall’Unione Europea per aprire un nuovo capitolo nella storia industriale del continente. L’obiettivo è restituire competitività all'economia europea senza rinunciare alla leadership mondiale in materia di sostenibilità. Questo piano mira a rafforzare la produzione industriale verde, incentivare l’innovazione tecnologica e ridurre la dipendenza da risorse fossili, consolidando così un modello di crescita resiliente e a basse emissioni di carbonio.

Nonostante i progressi nella transizione energetica, il bilancio import-export dell’Europa rimane negativo. Per garantire la stabilità del proprio approvvigionamento, il continente dovrà individuare soluzioni efficaci: se l'auto-produzione non sarà sufficiente, sarà fondamentale diversificare le fonti e i fornitori di energia, riducendo così il rischio di approvvigionamento, sempre più legato alle nuove dinamiche geopolitiche e alle tensioni tra gli attori mondiali.

Conclusioni

Gli Stati Uniti hanno dimostrato che innovazione e investimenti mirati possono ridurre la dipendenza dalle importazioni. La Cina, pur continuando a essere fortemente dipendente dalle importazioni di carbone e petrolio, mantiene la propria sicurezza energetica attraverso la produzione di beni a energia pulita destinati all’export e accordi con paesi emergenti. L’Europa è l’unica grande potenza che sta puntando davvero su una transizione energetica strutturale, ma deve ridurre la propria vulnerabilità legata alle importazioni.